Questo articolo è stato pubblicato su Gli Occhi della Guerra il 14 Novembre 2018 ed è anche stato tradotto in arabo per Arab Mubasher

 

La stabilità della Libia è fondamentale per l’Italia. Per questo motivo il governo Conte ha organizzato una conferenza a Palermo finalizzata a trovare soluzioni concrete per risolvere l’attuale crisi politica. Tuttavia, oltre alle strette di mano e alle fotografie con gli ospiti – dal generale dell’est Khalifa Haftar al primo ministro di Tripoli Fayez al-Sarraj – occorre vedere quali saranno i risultati.

Abbiamo parlato con il figlio della capo della tribù libica di Tebu, Abu Bakir, per capire quali sono le sensazioni sul campo. “Sono abbastanza certo che la conferenza di Palermo non sia altro che una formalità, perché per cambiare il Paese ci vogliono scelte concrete”.

Non quella che ha portato il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini a lodare il Qatar, un Paese che il ministro aveva criticato in campagna elettorale. “Ero molto deluso quando ho visto Salvini in una macchina di lusso in Qatar, dicendo che avrebbe lavorato con loro per portare la pace in Libia”, dice un ragazzo libico, che chiameremo Abdul, e che lavora per un’organizzazione nella città di Sebha, nel sud della Libia nell’area conosciuta come Fezzan, e che chiede l’anonimato per paura delle ripercussioni dalle milizie affiliate al Paese del Golfo. Salvini dice che lavorerà con il Qatar per portare la pace in Libia, “ma questo è lo stesso Paese che ci ha portato la guerra”, ci dice. “La scelta di Salvini è stata particolarmente dolorosa per noi nel sud, dove il Qatar ha avuto un influenza catastrofica”

Il Qatar ha riscontrato successi a Tripoli e Misurata con i Fratelli musulmani e gli islamisti, ma nel resto del Paese non è ben visto. Bakir ci spiega che il Paese del Golfo ha rapporti indiretti anche con l’Isis, che opera nel sud della Libia, nel deserto del Sahara. “Finanzia i jihadisti indirettamente – per esempio, tramite il leader Abdel Wahab Qaid, che era membro del governo di Misurata e suo fratello era leader di Al-Qaeda in Afghanistan”. La rete di jihadisti mondiale viene appoggiata direttamente o indirettamente dallo stato del Qatar, secondo gli esponenti libici contattati da Gli Occhi della Guerra.

Anche quando scoppiò la guerra tra tribù nel sud della Libia nel 2016, il Qatar aveva organizzato un meeting a Doha per un trattato di pace tra i capi tribù d Tebu e Tuareg. Secondo Abdul, il meeting era stato sponsorizzato dal giornale di stato qatarioita Al Jazeera, ma il trattato venne rifiutato da entrambe le tribù libiche perché prevedeva che l’estremista islamico Sadiq Al-Ghariani, segnalato per terrorismo anche dalla Gran Bretagna, diventasse capo di un esercito di islamisti dei Fratelli musulmani nel Fezzan.

Le persone nel sud che vedono l’Italia appoggiare il Qatar si preoccupano. “Gli islamisti non saranno mai una soluzione alla sicurezza perché sono di base dei mondialisti, contro il concetto di nazione libica, a favore dei confini aperti per avere altri combattenti giungersi alla loro causa”, ci spiega Abdul. Gli islamisti non hanno una nazione, anzi la nazione è loro nemica. Per gli estremisti religiosi ciò che importa di più è cercare di instaurare la sharia.

Questo è un problema specialmente nel sud della Libia, dove il traffico di persone continua indisturbato perché continua a non esserci controllo sui confini. “Non c’è controllo del traffico di persone in questa parte del Paese, è tutto nelle mani delle grandi mafie del business dell’immigrazione”. La situazione in Libia si sta infatti deteriorando, specialmente per i libici che vivono nel Fezzan e che, grazie ai confini aperti, stanno vivendo una silenziosa ma forte invasione di mercenari e trafficanti africani sub-sahariani, insieme a jihadisti da tutte le parti del mondo che si uniscono a Isis e altri gruppi terroristici nel deserto.

Accettare l’appoggio del Qatar non è solo un problema per i libici, ma anche per gli italiani. Le milizie affiancate al Paese del Golfo controllano a malapena Tripoli. L’accordo che l’Italia ha preso con questo governo non ha buoni propositi a lungo termine, perché pagare le milizie è solo una soluzione temporanea (appena i soldi finiranno, infatti, il traffico continuerà). Inoltre, alcune di queste milizie continuano nei loro affari anche quando ricevono i soldi per fermare il traffico per fare il doppio dei ricavi. Le milizie non-governative libiche non sono quindi affidabili.

Sia Abdul che Bakir dicono che l’Italia dovrebbe avvicinarsi di più all’esercito militare dell’Est di Khalifa Haftar che controlla militarmente la maggior parte del Paese, invece di appoggiare solo il governo di Tripoli. La guerra in Libia inoltre non dovrebbe essere vista come un conflitto tra l’Italia e la Francia. L’Italia dovrebbe coinvolgere tutti gli attori principali per trovare una soluzione comune sia negli interessi dei libici che degli italiani.

Uno studioso dell’Università di Parigi che ha seguito il conflitto libico sin dalla sua nascita, Jalel Harchoui, ci offre la prospettiva francese sul conflitto. “Haftar viene supportato dalla Francia perché è l’unica forza anti-rivoluzionaria nel Paese, che garantisce una forma di sicurezza”, dice Harchoui. Secondo lo studioso, la mentalità di Salvini si allinea più a quella di Haftar. I due condividono interessi sia strategici che ideologici. “Vogliono entrambi una specie di nazionalismo locale e una disciplina nel governare il Paese”. Haftar è appunto l’unico che è riuscito a fermare il traffico di persone e l’immigrazione massiva in Libia.

Il problema però è anche che Haftar viene per la maggior parte appoggiato dai Paesi del Golfo, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi che stanno puntando alla destabilizzazione in Medio Oriente. “La Libia non ruota più attorno all’Europa, ma attorno ai Paesi del Golfo”, ci spiega infatti lo studioso Harchoui. Per questo, è importante che l’Italia svolga un ruolo che coinvolga gli interessi dei libici, visto che a differenza della Francia ha sia l’appoggio statunitense che quello russo per fare ciò che ritiene giusto. Se l’Italia non sarà più presente in Libia, il Paese cadrà ancora di più nelle mani dei Paesi del Golfo.