Gli Usa si spaccano sulla Siria
Questo articolo è stato pubblicato su Gli Occhi della Guerra il 3 maggio 2018.
L’America si spacca sulla Siria e le vecchie contrapposizioni tra democratici e repubblicani questa volta non c’entrano nulla. In ballo c’è la stessa narrativa proposta dal governo per bombardare la Siria in seguito a un presunto attacco chimico a Douma.
Chi ha aiutato Donald Trump ad arrivare alla Casa bianca, sperando in una politica più isolazionista, adesso lo critica. C’è addirittura chi pensa che il presidente si sia fatto corrompere.
Ann Coulter, autrice del besteller In Trump We Trust (In Trump crediamo), ha postato diversi tweet per sostenere l’ipotesi di un finto attacco chimico a Douma. Tucker Carlson, uno dei più grandi sostenitori di Trump ha detto su Fox News: “Dovremmo essere scettici su questa guerra, partendo dall’attacco chimico stesso. Tutti quei geni dicono che Assad ha ucciso quei bambini. Ma lo sanno veramente? Ovviamente no. Se lo stanno inventando”.
Sono proprio i sostenitori di Trump a criticare con maggior forza il suo intervento. Ma non solo. Alcuni giornalisti di sinistra (Max Blumenthal, Glenn Greenwald e Rania Khalek), che durante le elezioni si contrapponevano a Hillary Clinton, hanno espresso il loro dissenso per l’intervento in Siria.
Secondo questi giornalisti, i media convenzionali avrebbero fatto propaganda mediatica a favore della guerra, arrivando a trovare causa comune con i loro stessi rivali, ovvero la destra pro Trump che condivide il scetticismo verso l’intervento statunitense in Siria.
Gleen Greenwald, in diretta sul canale conservatore di Fox News, ha duramente criticato l’intervento e Max Blumenthal è arrivato addirittura a difendere Tucker Carlson, un giornalista noto per le sue posizioni conservatrici, dopo aver dimostrato il proprio scetticismo verso una possibile guerra contro la Siria. Blumenthal ha così scritto un
tweet in cui afferma: “L’unica figura mainstream nel notiziario che mette in discussione una guerra catastrofica che ha come fine un cambio di regime è di destra. I liberali lo prendono in giro”.
Girando per le strade di Washington D.C., le opinioni che si raccolgono non sono molto diverse. Che siano repubblicani o democratici, la maggior parte delle persone sono scettica nei confronti dell’intervento. Anche quei pochi che sono a favore mostrano alcune perplessità impensabili durante la guerra in Iraq.
“Le conseguenze di questo intervento non sono state pensate seriamente”, ci dice una ragazza che vota il Partito democratico. “L’intervento sta solo portando avanti una guerra in un conflitto che non è affare nostro”, ci dice un altro ragazzo repubblicano. “Abbiamo già visto cosa è successo in Iraq, in Libia e in Afghanistan”, ci spiega un ragazzo che ha votato per Trump nelle ultime elezione. Un altro signore democratico è invece favorevole all’intervento a condizione che sia “limitato” e che “fermi l’uso di armi chimiche”.
Ma c’è anche chi si spinge più in là e, chiedendoci prima l’anonimato, accusa la lobby israeliana di influenzare la politica estera degli Stati Uniti: “I nostri interessi non sempre coincidono”.
Un ragazzo repubblicano ci spiega invece che “è dovere degli Stati Uniti, in quanto potenza mondiale, rispondere all’uso di armi chimiche”.
Coloro che appoggiano l’operazione militare di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia danno per scontato che, effettivamente, ci sia stato un attacco chimico a Douma. Ma la verità su questo tragico fatto è ancora da accertare, come ha spiegato anche il noto inviato Robert Fisk sull’Independent.
Anche i think tank americani, solitamente molto allineati, rispecchiano le spaccature presenti all’interno della società. Secondo Nicholas A. Heras, analista mediorientale per il Center for a New American Security, spiega a Gli Occhi della Guerra: “Per gli Stati Uniti, Bashar al-Assad è il più grande magnete di terroristi nella guerra civile siriana. La coalizione americana-francese-britannica sta cercando di far capire ad Assad che non potrà riconquistare tutto il suo Paese e anche la Russia deve capire che sostenere in assoluto Assad non è la strategia migliore per loro”.
Per quanto riguarda le armi chimiche utilizzate a Douma, Heras non ha dubbi: “Ci sono prove evidenti che le forze leali a Bashar al-Assad, anche se forse non è stato lui stesso a dare l’ordine, ma le sue forze, sotto la supervisione della Russia, hanno usato le armi chimiche”. Poi l’analista prosegue: “Fondamentalmente, l’America deve fare capire alla Russia che deve tenere Assad al guinzaglio. Magari non abbiamo bisogno di un bastone per farglielo fare – possiamo offrirgli prima delle carote”, dice Heras.
Daniel L. Davis – ritiratosi dall’esercito dopo aver diffuso dei leaks sulle operazioni militari in Afghanistan e oggi esperto di politica estera per il think tank Defence Priorities – ha però un’opinione totalmente diversa.
Davis ha combattuto in Iraq credendo che fosse una guerra giusta, combattuta per eliminare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Il tenente americano oggi crede che i motivi di quella guerra fossero in realtà delle bugie e ci spiega: “Vedo una narrativa simile a quella sulla Siria. Non è nell’interesse nazionale americano intervenire in Siria. C’è un rischio enorme per le nostre truppe al momento, e per che cosa?”.